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Le avanguardie del Prado

Bloggin Madrid

 

24 febbraio 2022

L'anno scorso il Museo del Prado ha acquisito, grazie ai fondi del lascito di Clara Sánchez, un dipinto di María Blanchard intitolato La boloñesa, che raffigura una raccoglitrice di frutti di mare del Passo di Calais, nel Canale della Manica. La pinacoteca ha così infranto il limite cronologico della sua collezione, che fino ad allora si attestava al 1881, anno di nascita di Pablo Picasso. L'opera dell'artista originaria di Santander è successiva alla sua fase cubista. Per un certo periodo le sue nature morte furono confuse con quelle del suo caro amico Juan Gris, in seguito la pittrice sviluppò uno stile estremamente personale, come dimostra questa tela: figure rotonde dall'aspetto malinconico.

Tuttavia, come ci spiegava la nostra professoressa di arte al liceo durante le visite mensili al museo, le avanguardie sono sempre state presenti, seppur in maniera latente, in molte sale del Prado. Se all'età di sedici anni mi affascinava sentirla spiegare le ragioni per cui un'opera era avanti di diversi secoli rispetto alla modernità, adesso mentre cammino per ARCO, che si tiene in questi giorni a Madrid, penso a lei e al suo straordinario modo di guardare i dipinti. Il suo nome è Covadonga García Bueno. Poiché non la vedo da moltissimi anni, questo testo, che ripercorre quattrocento anni di storia alla ricerca delle origini dell'impressionismo, dell'espressionismo, del surrealismo, dell'astrazione e del concettualismo, vuole essere un omaggio a lei. Di Ignacio Vleming.

 

Vistas del jardín de Villa Medici (Veduta del giardino di Villa Medici), 1639 ca. Velázquez, l’impressionismo.

Tra il 1629 e il 1631 Velázquez visse a Roma sotto la protezione del re Filippo IV, il quale era convinto che il suo pittore di corte dovesse assolutamente formarsi al gusto italiano. In Italia scoprì le opere di Raffaello, Michelangelo, Guercino, Lorena e Bernini, e conobbe anche Ribera, lo Spagnoletto.

Dopo questa esperienza il suo stile cambiò notevolmente. Iniziò a dare risalto ai nudi ispirati alla statuaria antica, mentre la sua tavolozza si riempiva di vermigli, verdi e blu. Inoltre, nel giardino di Villa Medici dipinse due quadri estranei a qualsiasi influenza. Forse li realizzò in un periodo di riposo, senza alcuna intenzione di appenderli in futuro a una parete. Hanno l’aspetto di un bozzetto, come se facessero parte di un quaderno di schizzi. È stato detto che potrebbe addirittura averli dipinti all'aria aperta - cosa insolita nel XVII secolo - e che con essi Velázquez ha anticipato di tre secoli la tecnica nota come en plein air, sperimentata in Francia dagli artisti della Scuola di Barbizon.

Probabilmente mai avrebbe immaginato che, quando Manet visitò il Museo del Prado nel 1865, sarebbe diventato un punto di riferimento per gli impressionisti, proprio come i maestri italiani lo erano stati per lui. Questi due piccoli paesaggi, con le loro pennellate sciolte e vibranti, racchiudono tutto il meglio di Monet, Pissarro, Sisley e Renoir.

Una fábula (Una favola), 1580. El Greco, l’espressionismo.

È probabile che questo piccolo dipinto di El Greco faccia riferimento a un altro del pittore greco Antifilo, oggi perduto e citato da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia, in cui si parla della bellezza del fuoco e della difficoltà di raffigurarlo. In ogni caso, questa tela potrebbe essere una sintesi dello stile caratteristico del cretese.

La luce proviene da un tizzone che un ragazzo tiene tra le dita. Accanto a lui ci sono una scimmia con un atteggiamento umano e un uomo con un atteggiamento animale. I colori acidi e irreali, le pennellate dense, la confusione delle consistenze - i tessuti che sembrano rocce, le rocce che sembrano nuvole - e la vivacità di ciascun oggetto, come se fosse agitato dall'interno, fanno di El Greco un perfetto riferimento per le varie correnti espressioniste.

Picasso, che scoprì la sua opera nelle stesse sale del Prado, divenne il suo migliore erede durante il periodo blu; i pittori del movimento Der Blaue Reiter (Kandinsky, Kee, Macke…) lo consideravano un precursore; il regista russo Sergej Ėjzenštejn, autore di La corazzata Potemkin, gli dedicò uno splendido saggio, mentre Jackson Pollock lo riteneva uno degli artisti che lo avevano maggiormente influenzato.

Perro semihundido (Cane interrato nella rena), 1819-1823. Goya, l’astrazione.

Molto prima di Picasso, Goya bruciò le tappe di un intenso percorso personale verso il perfezionamento artistico. Nel corso di ottant'anni esplorò tutte le strade della pittura. Iniziò come erede del barocco, ammiratore di Rembrandt e Velázquez; con i suoi cartoni per arazzi si avvicinò al rococò francese; grazie a Los fusilamientos del 3 de mayo en Madrid (Il 3 maggio 1808) divenne probabilmente il primo romantico, rendendosi conto che gli eroi incarnano intere nazioni; nelle sue serie di incisioni, come Los caprichos (I capricci) e Los desastres de la guerra (I disastri della guerra), si addentrò nei sogni, come faranno in seguito i simbolisti; realizzò anche ritratti psicologici e con la Lechera de Burdeos (La lattaia di Bordeaux), uno dei suoi ultimi dipinti, seguì le orme di Manet inquadrandosi in un'arte più attenta a riflettere le sensazioni che a copiare la realtà.

Il Perro semihundido, uno dei dipinti murali che decoravano la Quinta del Sordo, fu la sua opera più audace. Così audace e rivoluzionaria che, come le altre pitture nere, è stata spesso considerata un falso. Goya la dipinse senza scopo di lucro, per accompagnarlo come le vedute che aveva dalla sua casa sulla valle del Manzanares. Per decenni furono ignorate e nel 1878 l'impresario Frédéric Émile d'Erlanger le presentò all'Esposizione Universale di Parigi, per poi donarle nel 1881 - lo stesso anno in cui nacque Picasso - al Museo del Prado. La testa del cane (un muso, un orecchio, un occhio) è l'unico elemento figurativo, quasi irriconoscibile. Tutto il resto (la sabbia, l'aria, il cielo) forma un'astrazione che potrebbe ricordare Mark Rothko, Tàpies e Millares.

L'Estrazione della pietra della follia, 1494. Bosch, il surrealismo.

Bosch è stato un surrealista prima del surrealismo, o almeno così pensava André Breton, il padre di un movimento che poneva gli impulsi inconsci al centro dell'arte. Del gruppo, gli spagnoli Salvador Dalí e Luis Buñuel scoprirono negli anni Venti, quando vivevano presso la Residencia de Estudiantes di Madrid, Il giardino delle delizieIl carro di fienoLe tentazioni di Sant'AntonioI sette peccati capitali L'Estrazione della pietra della follia, lo straordinario insieme di tavole del pittore fiammingo che il Prado custodisce e che Filippo II aveva collezionato in modo ossessivo.

I ricercatori non concordano sul reale significato di questi dipinti. Alcune scene sembrano alludere a bestiari, leggende e superstizioni medievali, altre sono parodie del potere ecclesiastico, dell'autorità imperiale e della borghesia. L'opera che abbiamo scelto allude a un’iscrizione olandese, scritta in caratteri gotici attorno al tondo, che recita: “Maestro cava fuori le pietre, il mio nome è 'bassotto castrato”, sinonimo di sempliciotto, quindi della persona che si fa ingannare. Sebbene non sia l'unica rappresentazione di questo tema nella pittura del XVI secolo, è certamente l'immagine più eloquente: l'imbuto che incorona il chirurgo, la donna reclinata con un libro in testa. Chi è più pazzo?

Agnus Dei, 1640. Zurbarán, il concettualismo.

Tra i grandi maestri del Siglo de Oro, Zurbarán è senza dubbio il più spagnolo. Come si evince dai suoi quadri, non si preoccupava eccessivamente della padronanza della prospettiva o dello studio dell'anatomia, entrambi temi fondamentali nelle botteghe italiane. Il pittore di monaci e martiri dava più importanza alla rappresentazione fisica di consistenze, volumi e luci che ai precetti teorici dei trattati d'arte. Come se avesse avuto due grandi lenti d'ingrandimento negli occhi, guardava l'essenza delle cose, che nei suoi dipinti raggiungono un'elevazione spirituale tale da sembrare cose reali, cose in sé, e allo stesso tempo un simbolo dell'immateriale.

Per questo motivo Zurbarán è stato successivamente rivalutato nel corso del XX secolo. Le sue nature morte sono una sorta di opere concettuali che esprimono sempre più di quanto possano apparire. L’Agnus Dei è l'agnello mistico, ma anche un semplice agnello, uno dei tanti, quasi fosse al contempo una velata allusione a Santa Teresa d’Avila, “Dio è tra le pentole”, e una precedente di “Questa non è una pipa” di Magritte.

Adesso, con gli occhi ben aperti, proseguo la mia passeggiata ad Arco, la fiera d'arte contemporanea di Madrid, alla ricerca dei maestri dell'arte contemporanea. 

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